Assenza dal lavoro: tutta colpa del mal di schiena

Assenza dal lavoro: tutta colpa del mal di schiena

Il 25% dei lavoratori europei soffre di mal di schiena, secondo i dati ESAW 2005 (European Statistics on Accident at Work). E in Italia quasi un lavoratore su due resta a casa dal lavoro soprattutto per disturbi muscolo scheletrici: questi ultimi, infatti, sono causa del 49,9 % delle assenze sul lavoro e del 60% di incapacità permanente al lavoro (1°rapporto dell'AMNIL 2013).

Il rapporto INAIL 2012 ha contato oltre 16 mila denunce per disturbi muscolo scheletrici, tanto che il numero è più che raddoppiato dal 2005 al 2009 (per la precisione da 7926 a 16593). Ad accelerare il processo delle denunce, promuovendo l’emersione del fenomeno, l’arrivo di un nuovo riferimento normativo in Italia sulla sicurezza in ambito lavorativo (D. Lgs. 81/08). 

 

Cosa si intende per patologie muscolo scheletriche? Un’ampia gamma di condizioni infiammatorie e degenerative di articolazioni, legamenti, tendini, muscoli e nervi periferici.  La classe di età più colpita è quella compresa fra i 50 e i 64 anni. 

 

Tra essi il mal di schiena è la condizione più frequente, con effetti negativi sulla produttività lavorativa e con un carico socioeconomico sostanziale. Tra le principali patologie la lombalgia acuta (mal di schiena di durata massima di 4 settimane), la spondilodiscoartrosi, l’ernia del disco, la lombosciatalgia e la spondilolisi.

A soffrire maggiormente di mal di schiena, sempre secondo il rapporto AMNIL 2013 sono i lavoratori dei settori agricolo, forestale e pesca, manifatturiero e minerario, dei trasporti, dell’edilizia, dell’artigianato, della vendita al dettaglio e all’ingrosso, del settore alberghiero-ristorazione e sanitario.

A partire da organismi quali il National Research Council e l’Institute of Medicine degli U.S.A., fino ad arrivare all’Organizzazione Mondiale della Sanità, in accordo con le numerose pubblicazioni della letteratura scientifica internazionale, il mal di schiena viene definito “malattia ad eziogenesi multifattoriale”, ossia derivante dall’interazione di fattori individuali, fisici, psicosociali e fattori correlati all’ambiente lavorativo.  

“Questo significa che la relazione tra ambiente lavorativo e dolori a carico della colonna vertebrale non è sempre chiara – spiega la dott.ssa Francesca De Felice, fisiatra specialista di Isico (Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale) – ed è per questo che il mal di schiena non viene definito malattia professionale, condizione in cui, invece, il rapporto causa-effetto tra lavoro e patologia risulta essere netto. Il mal di schiena può avere origini diverse e non strettamente legate all’attività lavorativa. E’ fondamentale, dunque, capire quando la comparsa di dolore alla colonna vertebrale in un lavoratore trova correlazione con fattori di rischio lavorativi”. 

Quali sono i fattori di rischio? L’Agenzia europea per la salute e sicurezza sul lavoro considera da un lato i fattori di rischio fisico (sollevamento carichi, posizioni ergonomiche incongrue, movimenti altamente ripetitivi, lavorazioni manuali con carichi pesanti…), dall’altro i fattori di rischio ambientale e organizzativo (ritmi di lavoro, attività ripetitive, orari di lavoro, retribuzione, attività monotona, fatica, microclima ambientale, percezione dell’organizzazione di lavoro, fattori psicosociali presenti sul lavoro). Questa molteplicità di fattori spiega anche come il trattamento del mal di schiena debba coinvolgere aspetti non solo fisici ma anche psicologici. 

“A difesa della schiena dei lavoratori – continua la dott.ssa Francesca De Felice – la legge stabilisce l’utilizzo di ausili meccanici, una corretta organizzazione del lavoro (con relative pause e turni) e l’applicazione dei principi ergonomici alle postazioni di lavoro. Da non dimenticare poi che la tutela più grande per la salute della schiena rimane sempre e comunque il movimento”.

“Con l’avanzare dell’età la schiena risulta più esposta a disturbi da carico, soprattutto a livello lombare – racconta Luca Selmi, fisioterapista di Isico – Tale processo è sicuramente accentuato da sforzi eccessivi ripetuti, ma anche da uno stile di vita eccessivamente sedentario. L’ambiente lavorativo può contribuire ad entrambi questi elementi quando si alzano pesi notevoli o si svolgono attività di traino, oppure al contrario quando si rimane in una posizione fissa. Ricordiamoci che la postura va cambiata di frequente! Per prevenire disturbi alla colonna vertebrale è importante cambiare spesso posizione (almeno ogni ora), alternando la posizione seduta con quella in piedi o viceversa, facendo qualche passo e muovendo la schiena, le spalle, il collo e le braccia. Troppo spesso sfruttiamo le pause dall’attività lavorativa per rimanere seduti, magari nuovamente davanti ad un computer o ad uno smartphone”.

 

Cosa fare allora? Ecco i consigli di Isico

Spostare oggetti: regole

Come sollevare un oggetto, immagine dal Rapporto INAIL 2012

 – Avvicinare l’oggetto al corpo. Tenere il carico lontano dal corpo costringe la muscolatura della schiena ad uno sforzo maggiore, aumenta la pressione generata a livello intervertebrale esponendo i tessuti ad una sollecitazione facilmente riducibile gestendo la nostra posizione rispetto al carico sollevato.

 – Non sollevare pesi dal pavimento 

 – Spostare oggetti nella zona compresa tra l’altezza delle spalle e l’altezza delle nocche (mani a pugno lungo i fianchi). Entrambe queste situazioni, soprattutto se ripetute, potrebbero portare a movimenti scorretti, mettendo in pericolo la nostra schiena.

– Nei movimenti di torsione, evitare di ruotare solo il tronco, ma girare tutto il corpo, spostandosi con gli arti inferiori. La postazione di lavoro in tal caso deve essere progettata in modo che il piano di presa e quello di rilascio dell’oggetto siano il più possibile vicini e ad un’altezza simile.

 

 Lavoro statico: regole 

Postura davanti al Pc, immagine Rapporto INAIL 2012

 – Un piano di lavoro di altezza adeguata e profondità non superiore a 50-55 cm deve consentire di lavorare mantenendo il gomito ad angolo retto. 

 – L’appoggio di un piede su un rialzo, alternando durante la pratica le due gambe, è un utile stratagemma per variare il carico che agisce sulla colonna.

– Bisogna evitare di stare seduti con la schiena ingobbita: non lasciarsi vincere dalla forza di gravità, ma cercare di sostenersi come se ci si volesse allungare verso l’alto. L’appoggio dei piedi ben saldi a terra e della colonna sullo schienale sono validi aiuti.

– La profondità e la larghezza del piano di lavoro devono consentire di disporre i materiali e le attrezzature (schermo, tastiera, mouse, strumenti di lavoro) in funzione dell’attività da svolgere nonché consentire un appoggio per gli avambracci dell’operatore in modo da garantire uno scarico del cingolo scapolo-omerale e conseguentemente della muscolatura del rachide.

Notizie correlate